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La necessità del tocco umano

Oggi, per te, c’è stato “tocco umano”?
Cosa intendo con “tocco umano“? Una carezza, una abbraccio, un delicato buffetto sulla guancia…

Per molti, la risposta è no.
Anche per chi si trova all’interno di una relazione, perché purtroppo, dedicare tempo al contatto fisico spesso non è una priorità quotidiana.
E sai qual è la riposta più frequente quando pongo questa domanda?
Non c’è ma il tempo!”
Già, al giorno d’oggi chi ha davvero tempo per dare la priorità al tocco umano quando siamo così impegnati a soddisfare gli obblighi lavorativi e familiari?
E quando si ha un minuto libero si cerca di recuperare ciò che si è lasciato indietro proprio perché troppo impegnati, oppure, ci si richiude su se stessi, con un device in mano interagendo attraverso i social.

E il “tocco umano” perde di valore, ci rendiamo aridi di connessioni tattili.

Nel 1940, lo psicoanalista e medico austriaco Rene Spitz condusse studi che confrontavano lo sviluppo e la salute fisica dei bambini cresciuti in un orfanotrofio, con bambini che erano cresciuti in una prigione materna e venivano a contatto quotidianamente con le loro madri.
Due situazioni estreme e disagiate, eppure, i risultati furono schiaccianti, i bambini cresciuti in carcere con le madri risultarono avere capacità motorie e intellettuali molto più elevate rispetto al gruppo cresciuto in orfanotrofio, non solo, si ammalarono molto meno.
Questo studio è tra i primi di quello che è diventato un ampio e affascinante corpus di letteratura scientifica che dimostra che il tatto è fondamentale per la salute, la comunicazione e il legame.

Al centro della magia del tatto c’è l’ossitocina, l’ormone che viene rilasciato dal cervello quando entriamo in contatto con gli altri. Sia nel dare che nel ricevere il tatto aiuta a rilasciare l’ossitocina, facilitando una cascata di reazioni benefiche tra cui una riduzione dei livelli di dolore e ansia, nonché un aumento dell’autostima e dell’ ottimismo. L’ossitocina rafforza i legami tra le persone e aumenta anche significativamente la generosità.
Come se avessimo bisogno che la scienza ci dicesse che il tatto è positivo!

In realtà sappiamo quanto sia bello un massaggio e tutti abbiamo sperimentato la gioia che deriva dall’abbracciare un vecchio amico.
Anche il nostro linguaggio riflette l’importanza del contatto fisico: non è un caso che per descrivere qualcosa di emotivamente impattante, utilizziamo i termini “toccati“, “travolti” e persino “presi“.
Tuttavia, la maggior parte di noi si trattiene dall’esprimersi attraverso il tatto.
Gran parte di questo è dovuto al fatto che fin dalla tenera età veniamo programmati per resistere e limitare il contatto umano e ci vengono dati ogni sorta di input depotenzianti sul tatto: “non toccare”, “non ti avvicinare”, “non infastidire”, ecc…

Naturalmente è necessario nella società moderna limitare il contatto in alcuni casi, ma il contatto umano quotidiano è un bisogno assoluto cablato nel nostro DNA, e disconnetterci da tale contatto ha un prezzo.
Puoi ingannare il mondo dicendo che stai perfettamente bene essendo indipendente, avendo spazio personale ed evitando un’esposizione nelle relazioni, ma il tuo potente desiderio subconscio di connessione fisica tenterà inevitabilmente di trovare quella connessione attraverso soluzioni temporanee a volte malsane, rimanendo costantemente in una stato di frustrazione.

Siamo tutti d’accordo sull’importanza di abbracciare teneramente i bambini i primi anni della loro vita? Ottimo. Quindi, quando smettiamo di essere degni di tale contatto?

Dare e ricevere attraverso il tatto non è un segnale di debolezza, al contrario è un importante segnale di consapevolezza rispetto ai nostri bisogni.
E quando ci impegniamo a soddisfare i nostri bisogni, incluso il bisogno di contatto fisico, ci incamminiamo sulla strada verso l’interezza.

Il tatto viene prima della vista, prima delle parole. E’ il primo linguaggio, e l’ultimo, e dice sempre la verità.

Margaret Atwood

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